lunedì 16 aprile 2012

BASTA CON L'OSTIA CONSACRATA IN MANO, NON E' LEGGE DELLA CHIESA


Ratzinger riforma la messa Basta con l’ostia sulla mano.

Usiamo la nostra parola, forziamo la mano e diciamo ai nostri sacerdoti "basta" con questo rituale "protestante", non è legge della Chiesa non fatevi corrompere.




Il documento è stato consegnato nelle mani di Benedetto XVI la mattina del 4 aprile scorso dal cardinale spagnolo Antonio Cañizares Llovera, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino. È l'esito di una votazione riservata, avvenuta il 12 marzo, nel corso della riunione «plenaria» del dicastero che si occupa di liturgia e rappresenta il primo passo concreto verso quella «riforma della riforma» più volte auspicata da Papa Ratzinger. Quasi all'unanimità i cardinali e vescovi membri della Congregazione hanno votato in favore di una maggiore sacralità del rito, di un recupero del senso dell'adorazione eucaristica, di un recupero della lingua latina nella celebrazione e del rifacimento delle parti introduttive del messale per porre un freno ad abusi, sperimentazioni selvagge e inopportune creatività. Si sono anche detti favorevoli a ribadire che il modo usuale di ricevere la comunione secondo le norme non è sulla mano, ma in bocca. C'è, è vero, un indulto che permette, su richiesta degli episcopati, di distribuire l'ostia anche sul palmo della mano, ma questo deve rimanere un fatto straordinario. Il «ministro della liturgia» di Papa Ratzinger, Cañizares, sta anche facendo studiare la possibilità di recuperare l'orientamento verso Oriente del celebrante almeno al momento della consacrazione eucaristica, come accadeva di prassi prima della riforma, quando sia i fedeli che il prete guardavano verso la Croce e il sacerdote dava dunque le spalle all'assemblea.
Chi conosce il cardinale Arinze, sa che è intenzionato a portare avanti con decisione il progetto, a partire proprio da quanto stabilito dal Concilio Vaticano II nella costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium, che è stata in realtà superata dalla riforma post-conciliare entrata in vigore alla fine degli anni Sessanta. Il porporato, intervistato dal mensile 30Giorni, nei mesi scorsi aveva detto a questo proposito: «A volte si è cambiato per il semplice gusto di cambiare rispetto a un passato percepito come tutto negativo e superato. A volte si è concepita la riforma come una rottura e non come uno sviluppo organico della Tradizione».
Per questo le «propositiones» votate dai cardinali e vescovi alla plenaria di marzo prevedono un ritorno al senso del sacro e all'adorazione, ma anche un recupero delle celebrazioni in latino nelle diocesi, almeno durante le principali solennità, così come la pubblicazione di messali bilingui - una richiesta, questa fatta a suo tempo da Paolo VI - con il testo latino a fronte.
Le proposte della Congregazione che Arinze ha portato al Papa, ottenendone l'approvazione, sono perfettamente in linea con l'idea più volte espressa da Jopseph Ratzinger quando ancora era cardinale, come attestano i brani inediti sulla liturgia anticipati ieri dal Giornale, che saranno pubblicati nel libro Davanti al Protagonista (Cantagalli), presentato in anteprima al Meeting di Rimini. Con un nota bene significativa: per l'attuazione della «riforma della riforma» ci vorranno molti anni. Il Papa è convinto che non serva a nulla fare passi affrettati, n´ calare semplicemente direttive dall'alto, con il rischio che poi rimangano lettera morta. Lo stile di Ratzinger è quello del confronto e soprattutto dell'esempio. Come dimostra il fatto che, da più di un anno, chiunque vada a fare la comunione dal Papa, si deve genuflettere sull'inginocchiatoio appositamente preparato dai cerimonieri.

Michel Upmann: BASTA CON L'OSTIA CONSACRATA IN MANO, NON E' LEGGE...

Michel Upmann: BASTA CON L'OSTIA CONSACRATA IN MANO, NON E' LEGGE...: Ratzinger riforma la messa Basta con l’ostia sulla mano. Usiamo la nostra parola, forziamo la mano e diciamo ai nostri sacerdoti "basta" co...

A proposito di Confessioni sacrileghe...IV puntata


Da Il settimanale di Padre Pio

di Don Leonardo M. Pompei
 
Il sacramento della Penitenza, oggi poco praticato, è spesso ricevuto in modo sacrilego, mancando le necessarie disposizioni e condizioni da parte del penitente, o reso invalido dalla noncuranza del confessore. Vediamo come non incorrere in tale pericolo.
Iniziando l’analisi dei peccati contro il Primo Comandamento abbiamo visto che l’uso sacrilego dei Sacramenti rappresenta, in assoluto, la forma più grave di offesa diretta a Dio e alla sua divina Maestà. Oltre che le Comunioni sacrileghe, purtroppo, oggi è quanto mai diffuso un altro gravissimo peccato: quello dell’uso sacrilego del sacramento della Confessione. Prima di addentrarci in questa nuova cancrena che affligge dal profondo i figli della Chiesa, è bene osservare che uno dei precetti generali della Chiesa obbliga i fedeli all’uso minimo di questi due importantissimi Sacramenti: la Confessione almeno una volta l’anno e la Comunione almeno a Pasqua. Per la verità il santo Curato d’Ars piangeva quando doveva rammentare ai suoi fedeli questo precetto, parendogli assurdo che la Chiesa dovesse imporre sub gravi una cosa tanto bella come la santa Comunione, che dovrebbe essere ricevuta (secondo le intenzioni di Chi l’ha istituita) preferibilmente ogni giorno. Tuttavia, il santo Parroco doveva amaramente costatare che è tale e tanta la stoltezza dell’uomo, che la Chiesa, come madre premurosa di un figlio discolo, ha dovuto imporre quel minimo assolutamente indispensabile per evitare di lasciare i suoi figli in stato di dannazione. Conseguentemente, non solo chi profana, ma anche chi omette almeno questa frequenza minima a questi Sacramenti, non è scusabile da colpa grave. Ecco perché la prima cosa da dire quando si entra in confessionale è da quanto tempo non ci si confessa e, qualora il penitente non lo faccia, il sacerdote è tenuto a interrogarlo in merito. Qualora, infatti, non ci si confessasse da dieci, quindici, trent’anni il confessore capirebbe subito che sul povero fedele gravano dieci, quindici, trenta peccati mortali.
Ora, la Santa Chiesa, nel Concilio tridentino (di cui è eco fedelissimo il grande dottore sant’Alfonso Maria de’ Liguori, patrono dei confessori e dei moralisti, a cui faremo ampio riferimento) ha insegnato che per ottenere il perdono di Dio dei peccati commessi dopo il Battesimo occorrono alcune condizioni, in mancanza delle quali la Confessione o è invalida o, peggio, è sacrilega. Anzitutto oggetto obbligatorio della Confessione sono tutti e singoli i peccati mortali di cui il penitente abbia coscienza, che siano stati commessi da quando si ha l’uso della ragione al momento in cui ci si sta confessando. Tali peccati vanno confessati per numero, specie e circostanze e si otterrà la misericordia di Dio solo se di essi si è realmente pentiti ovvero se: 1) si prova dolore per il peccato commesso (perfetto se originato dal fatto di aver offeso Dio o imperfetto se scaturisce dal timore dell’inferno e dei castighi dovuti per i peccati); 2) lo si detesta con tutto il cuore; 3) si ha il fermo, risoluto e deciso proposito di non commetterlo più.
Il confessore, durante l’amministrazione di questo Sacramento, svolge, come insegna sant’Alfonso, quattro funzioni; quella di padre, in quanto interprete della bontà e della misericordia di Dio; quella di maestro, in quanto deve aiutare il penitente nell’esaminare e nel formare la sua coscienza, formulando alcune domande qualora abbia motivo di ritenere che il penitente non sia in grado di discernere le colpe gravi (cosa che oggi accade spessissimo); quella di giudice, in quanto deve verificare se la Confessione è sincera e se il penitente sia pentito, cercando, in caso negativo, di stimolarne o provocarne il pentimento durante la Confessione stessa. In quanto giudice il sacerdote deve verificare se può o meno assolvere il penitente; ed in caso positivo impartire una soddisfazione sacramentale (o penitenza) che sia proporzionata al numero e alla gravità dei peccati; quella infine di medico, in quanto deve, con le opportune esortazioni, indicare al penitente le vie di futura preservazione dal male. Anche nel decidere il tipo di penitenza da imporre, il confessore deve ricordare che sta agendo come un medico dinanzi ad un malato che ha bisogno di terapie per guarire e per ristabilirsi in perfetta forma fisica.
Dinanzi a tale disciplina, vediamo ora quando la Confessione è sacrilega. Anzitutto quando il penitente non è pentito, cioè non prova dolore per quello che ha fatto, ma soprattutto non ha intenzione di smettere. È inutile, in questi casi, andarsi a cercare confessori dalla “manica larga” (oggi, purtroppo, molto diffusi), perché se anche il sacerdote osasse assolvere un fedele non pentito, commetterebbe peccato mortale e sarebbe responsabile di tutte le comunioni sacrileghe fatte dal penitente, erroneamente illuso di essere stato assolto.
Seguono le Confessioni incomplete per colpa del penitente, o perché si vergogna o ha paura di rivelare qualche peccato, oppure perché (cosa peggiore) rifiuta di riconoscere qualche peccato come mortale (pochissimi, per esempio, oggi accettano che mancare alla Messa domenicale o commettere atti impuri sia peccato mortale).
La Confessione viene invalidata in via successiva se il penitente omette di fare la penitenza sacramentale che gli è stata imposta dal confessore, che va adempiuta seriamente e scrupolosamente. Essa, infatti, è requisito essenziale della Confessione, tant’è vero che per larga parte del Primo Millennio l’assoluzione veniva concessa solo dopo aver adempiuto alla penitenza imposta.
L’esperienza pastorale insegna che quei (pochi) fedeli che si confessano spesso lo fanno assai male e che purtroppo non pochi ministri, atteggiandosi a fare i buoni, causano una vera e propria rovina d’innumerevoli anime.
A conclusione di questo spinoso tema mi permetto di dare alcuni consigli per evitare d’incorrere in spiacevoli e gravi inconvenienti: 1) pregare Dio che ci faccia trovare un buon confessore ed avere, di norma, un confessore fisso, di sana dottrina, di vita tendenzialmente santa e animato da santo zelo. I modelli di confessori sono tre: San Pio da Pietrelcina, il santo Curato d’Ars e sant’Alfonso M. de’ Liguori, tutti pieni di misericordia ma anche di severità, di dolcezza ma anche di fermezza; 2) far bene l’esame di coscienza e chiedere di persona al confessore di essere interrogati, qualora si pensi di non essere in grado di discernere le colpe gravi; 3) essere sommamente sinceri e curare di confessare bene i peccati per specie (non basta dire “ho commesso atti impuri”: un conto è l’adulterio, un conto l’omosessualità, un conto la pornografia, ecc.), per numero (non basta dire “ho mancato alla Messa”, ma bisogna specificare il numero e, qualora non lo si ricordi, dare un ordine di grandezza) e per circostanze (se un padre bestemmia davanti a un figlio deve specificarlo); 4) preparare la Confessione ricorrendo all’ausilio della Beata Vergine Immacolata e pregare per il confessore, perché abbia da Dio la luce e la grazia per aiutarci a troncare con il peccato, giacché, come diceva il santo Curato d’Ars, «se non c’è in noi un completo cambiamento, non abbiamo meritato l’assoluzione: e c’è da temere che il nostro sia solo un sacrilegio. Ah, se almeno ogni trenta assoluzioni ve ne fosse una valida, come si convertirebbe presto il mondo!».

Il culto dei nemici di Dio, occultismo... VI p.


Fonte: Il Settimanale di Padre Pio

di Don Leonardo M. Pompei
 
Nel rispetto del Primo Comandamento rientra anche il rifiuto di ogni forma di occultismo, quali sedute spiritiche, scritture e registrazioni automatiche, cartomanzia, negromanzia, pranoterapia, il ricorso a medium e maghi, e il culto dato al demonio attraverso il satanismo.
Tra le condotte direttamente e formalmente contrarie al Primo Comandamento, sono da annoverare tutte le forme di occultismo e di culto dato al demonio. Si tratta di peccati molto gravi perché attraverso essi, in maniera diretta o indiretta, non soltanto si nega a Dio il culto che gli è dovuto, ma ci si prostra in adorazione ai nemici di Dio e dell’umana salvezza, ovvero ai demoni.
In linea di massima il mondo dell’occulto abbraccia tutte quelle realtà la cui conoscenza, per volontà dell’Altissimo, è negata all’uomo e dinanzi a cui l’unico atteggiamento che l’uomo dovrebbe tenere, è quello dettato dall’umiltà e dalla fede, intese come assenza di curiosità, rinuncia a violare dei limiti umanamente invalicabili, accettazione serena di ciò che la fede dice su queste materie. Queste realtà, la cui conoscenza è inibita all’uomo, si riducono, fondamentalmente, alla vita oltre la morte e alla conoscenza del futuro.
Il Vangelo, nella parabola del ricco epulone, ci ricorda che tra il regno dei vivi e il regno dei morti è posto un limite invalicabile (cf Lc 16,19-31); esso fa da eco all’episodio di negromanzia in cui cadde l’empio re Saul narrato nel primo libro del profeta Samuele e che Dio condannò severamente per bocca di questi (cf 1Sam 28). Per ciò che concerne il futuro, basti quanto disse il Signore nell’imminenza della sua Ascensione, quando non volle soddisfare la domanda dei suoi Apostoli se fosse giunta l’ora della restaurazione del regno di Israele (cf At 1,4-9). Su queste realtà la Fede ci trasmette delle Verità semplici ed essenziali: coloro che muoiono si presentano immediatamente al cospetto di Dio per il Giudizio particolare, a cui segue l’immediata destinazione dell’anima in Paradiso, in Purgatorio o all’inferno, in attesa della risurrezione della carne.
Per ciò che concerne il futuro, come insegna anche san Tommaso d’Aquino, Dio solo ne ha la conoscenza certa e infallibile e con Lui soltanto coloro a cui Egli partecipa questa sua propria e particolarissima proprietà (i profeti e alcuni Santi). Ora, con le pratiche occulte l’uomo, rivolgendosi a presunti “maghi” (che in realtà sono sempre strumenti di satana, a meno che non siano cialtroni o ciarlatani), cerca di violare queste porte sigillate per avere la conoscenza di tali realtà. Ecco dunque il gravissimo peccato di negromanzia (“arte di interrogare i morti”), le sedute spiritiche (in cui si evocano i morti tramite dei medium) e le recenti (e purtroppo praticatissime anche dai fedeli) tecniche occulte della scrittura automatica (un medium comincia a scrivere, in trans, messaggi dati da un presunto defunto) o della registrazione automatica (attraverso un medium lo spirito evocato parla con la stessa voce della persona defunta).
Stando a ciò che insegnano gli esperti del settore, cioè gli esorcisti, i fedeli che si illudono attraverso queste pratiche di entrare in contatto con i morti, sappiano che in realtà entrano in contatto con i demoni e, oltre che offendere gravemente Dio, si espongono al pericolo grave e attuale di incorrere in mali di origine malefica (non esclusa la possessione diabolica). Solo Dio, in alcune circostanze, dà a qualche anima eletta il dono di entrare in contatto con le anime dei defunti oppure di conoscere particolari dell’altro mondo (si pensi alle esperienze mistiche di santa Faustina Kowalska o di santa Teresa d’Avila, che videro in visione l’inferno). Ma, in questo caso, sono doni liberamente dati da Dio per l’edificazione di tutti e non violenze o tentativi di “invasioni” operati dall’uomo che non si rassegna ad accontentarsi di quanto basta sapere attraverso la fede.
Per ciò che concerne la conoscenza del futuro, abbiamo i gravissimi peccati di chiromanzia (lettura del futuro attraverso i segni della mano), di cartomanzia (lettura del futuro attraverso le carte e i tarocchi) e, in generale, di magia (consultare un sedicente mago al fine di conoscere il futuro). Anche in questo caso chi viene consultato non è il mago ma il demonio e non c’è da stupirsi che a volte qualche predizione si avveri, perché il demonio, pur non conoscendo con certezza i futuri contingenti (cioè gli eventi che dipendono totalmente dalla libertà dell’uomo o dai “casi fortuiti”), essendo molto intelligente, è capace di prevedere (prevalentemente e a grandi linee) molti di essi.
L’occultismo è a volte usato come strumento per procurare qualche beneficio (cosiddetta magia bianca) oppure maleficio (cosiddetta magia nera). La pranoterapia, alcune forme particolari di ginnastica (quali per esempio yoga e Reiki) o altre pratiche volte a procurare qualche beneficio o togliere malefici (per esempio il malocchio) appartengono al primo genere.
Il ricorso a maghi per procurare malefici attraverso fatture, legature, malocchi, talismani, amuleti, ecc., configura le principali fattispecie di magia nera. Pur essendo queste ultime pratiche assai più gravi delle prime (perché mosse dall’odio verso qualche persona), gli esorcisti affermano che anche la cosiddetta magia bianca non si deve praticare, perché è sempre un ricorso alle forze demoniache, le quali concedono qualche apparente beneficio come “prezzo” dell’anima che si consegna a loro attraverso il ricorso all’occulto.
Infine, è oggi quanto mai diffuso il vero e proprio satanismo, ovvero il culto reso al demonio in odio a Dio o per ricevere da lui beni, ricchezze e piaceri della vita. Gli atti con cui si compie in modo diretto questo esecrabile delitto sono la consacrazione a satana (normalmente con un patto scritto col proprio sangue), la partecipazione agli atti di culto rivolti a satana (di cui il principale è la messa nera) e l’affiliazione ad una setta satanica.
Ci si rende tuttavia soggetti ai nefasti influssi dei nemici di Dio pure approvando eventi o cerimonie di chiara origine satanica o (peggio) partecipando ad essi, anche se non se ne è a conoscenza. A questo riguardo la stolta ed esecrabile celebrazione della festa di Halloween è uno (ma purtroppo non l’unico) dei chiari e lampanti esempi del grado a cui può giungere la stoltezza dell’uomo, che rinnegando Dio, consegna se stesso (ed anche la sua intelligenza e buon senso) in balia del mondo delle tenebre.

Primato di Dio



PDFStampaE-mail
Scritto da Gianpaolo BARRA   Editorialista de Il TIMONE - Fonte: Il Timone

Perché proviamo vivo dispiacere, talvolta perfino sgomento per certe notizie diffuse dai mass media? Perché valutiamo negativamente certi fatti che cadono sotto i nostri occhi tutti i giorni? Negativamente, è ovvio, secondo un giudizio che tiene conto del Vangelo e dell’insegnamento della Chiesa. Le ragioni sono diverse. Certamente, non ci sfugge il danno incalcolabile arrecato all’uomo quando questi si dimentica di Dio. Danno al quale s’aggiunge anche la beffa, ogniqualvolta la trasgressione della legge divina è promossa, perseguita e magnificata come conquista di civiltà.
Nel campo del progresso e della conquista di nuovi diritti siamo ormai abituati a vedere collocate cose che giudichiamo severamente: divorzio, aborto, manipolazioni della vita umana, eutanasia, fecondazione artificiale, omosessualità esibita, perversioni d’ogni genere (fa eccezione, per ora, la pedofilia) e qualcuno si spinge già – come spiega Sansonetti più avanti – a promuovere come conquista anche l’infanticidio. E lo sgomento s’accresce quando constatiamo quotidianamente quell’inarrestabile tendenza che vede la storia della Chiesa, la sua dottrina, la sua opera, la sua presenza essere minimizzate, ridicolizzate, banalizzate, quando non apertamente osteggiate.
Se poi consideriamo che anche in casa cattolica è ormai palese l’opera di chi – pastore, intellettuale o semplice fedele – “rema contro”, lo sconforto aumenta e pare senza misura. Tutto ciò rattrista, o almeno dovrebbe rattristare ogni cristiano. Ed è giusto che sia così. Purché sia chiaro che il primo, vero – e per il mondo incomprensibile – motivo di tanto dolersi è il fatto che l’uomo, usando male della libertà, offende il suo Creatore. Quel Dio che lo ama, custodisce, che lo riscatta con il sacrificio di suo Figlio e che gli ha preparato una dimora colma di gioia in Cielo. È lo schiaffo dato a Dio con il peccato la prima causa – che tutte le altre comprende e spiega – che dovrebbe generare umana tristezza nel cuore di ogni buon cristiano. Perché Dio viene prima di tutto.
È un primato, questo, dimenticato anche in casa nostra. Perciò risulta difficile per tanti di noi maturare piena e convinta consapevolezza che la vera soluzione ai mali del mondo – come va ripetendo papa Benedetto XVI – sta nel ritornare a Dio, nel tener conto della sua volontà e della sua legge quando si regola la vita dei singoli e della società. Darsi da fare per promuovere questo ritorno, quindi per una “nuova evangelizzazione”, è il compito del nostro Timone, che si sforza – con pochi mezzi a disposizione, purtroppo – di presentare la ragionevolezza del credere e difenderla dalle contestazioni.
Lo sconforto umanamente comprensibile, vista anche la sproporzione esistente tra i mezzi di cui dispone la Chiesa e quelli straordinariamente più potenti utilizzati dai suoi nemici, non deve, tuttavia, mai trasformarsi in disperazione. Se la battaglia è dura, se molti e ripetuti sforzi non sembrano dare i frutti sperati, se l’avanzata delle forze del Male sembra incontenibile, il cristiano sa che il vero Padrone del mondo, il vero Signore dell’universo, il vero Re di tutti i re è Colui che ha detto di sé stesso: «Io ho vinto il mondo». Alla fine, Lui – e solo Lui – sarà il vincitore.

Del dovere di stato… ovvero… La soggiacenza al mondo della nuova Chiesa conciliare



  Di Giacomo Fedele

Può la Chiesa soggiacere? Non può, per sua stessa natura.
La Chiesa non è di questo mondo e quindi nulla di questo mondo può veramente toccarla. Eppure la Chiesa, per la sua stessa destinazione, è in questo mondo e questo la pone nella necessità di vivere in relazione ad esso.
A seguito di Nostro Signore essa svolge la funzione di ricondurre il mondo a Dio attraverso la riconduzione a Dio di ogni uomo; il suo compito non è salvare il mondo, né tampoco tutti gli uomini, quanto condurre alla salvezza ogni uomo che abbandona la via dell’errore e si incammina sulla via della verità. Per far questo la Chiesa si prodiga per la santificazione di tutti gli uomini che si conducono secondo la retta volontà, offrendo loro i sacramenti e la grazia che essi veicolano, e assolve questa sua funzione all’interno del mondo, ma indipendentemente dal mondo, anzi, nonostante il mondo.
Se il mondo e se gli uomini si conducono verso la perdizione eterna, la Chiesa non può far niente per rimediarvi, come non può far niente per impedire che ogni singolo uomo che si vuol perdere, si perda.

Pur agendo indipendentemente dal mondo, la Chiesa, per il fatto stesso di essere nel mondo, tiene sempre conto dello stato del mondo e dell’uomo, con un’aderenza e una consapevolezza derivate dal fatto che essa cammina con le gambe degli uomini, e degli uomini che vivono nel mondo in un certo tempo e in un dato spazio.
Così che la Chiesa non è avulsa dal mondo e vive le stesse tribolazioni del mondo, così come esse si presentano in base allo svolgimento del piano della Divina Provvidenza. Ed è questo stesso piano della Divina Provvidenza che porta ogni uomo che si è posto sulla via della verità, ogni singolo fedele, chierico o laico che sia, a svolgere uno specifico ruolo all’interno di questa Chiesa, ruolo che egli svolge compiendo il proprio dovere di stato, che non è un dovere ideale valido per ogni uomo, ma il dovere specifico di ognuno: il dovere di uomo o di donna, di genitore o di figlio, di persona pubblica o privata, di consacrato o di ordinato.
Dal semplice fedele al Papa, ognuno deve compiere il proprio dovere di stato usando i talenti che il Signore gli ha assegnato.

Ora, il primo dovere di stato, comune a tutti, è quello della creatura nei confronti del Creatore, dell’uomo nei confronti di Dio, così che nessuno può anteporre il dovere verso altro, al dovere nei confronti di Dio; anzi, il proprio specifico dovere, per poter essere assolto realmente e debitamente, deve prima soddisfare al dovere nei confronti di Dio. Il dovere di stato di ogni uomo, in tutta la sua specificità, si misura sempre in relazione al dovere nei confronti di Dio, che è il fondamento per l’assolvimento di tutti gli altri specifici doveri.

La diversità dei talenti genera oneri minori o maggiori, da cui deriva una gerarchia intrinseca ed estrinseca dei doveri di stato. Uno è il dovere del padre, altro è il dovere del figlio, uno è il dovere verso il prossimo, altro è il dovere verso il padre, uno è il dovere verso la società, altro è il dovere verso la propria famiglia.In un continuo crescendo: uno è il dovere del semplice fedele, altro è il dovere del Pastore, uno è il dovere verso il peccatore, altro è il dovere verso il fratello.
Da ciò deriva che il dovere di stato del chierico è più esigente di quello del laico, il dovere di stato del Pastore è più esigente di quello del chierico. Se un laico viene meno al suo dovere di stato, possono derivarne conseguenze per il suo prossimo, familiari e amici; se ad esso viene meno un chierico, possono derivarne conseguenze per intere famiglie o comunità; se viene meno un Pastore, possono derivarne conseguenze per l’intera società.

Orbene, da più di 40 anni, tanti Pastori continuano a fare mostra di preoccuparsi più del giudizio del mondo che del giudizio di Dio, così che vengono meno al loro dovere di stato per assolvere al dovere pubblico moderno di apparire “al passo con i tempi”. Come se la loro vocazione e la loro funzione fossero il frutto di una convenzione condominiale e non di una chiamata di Dio.
Tanti si ricorderanno di certi funerali pubblici, in pompa magna, con risonanza mondiale, officiati, per esempio, nel duomo di Milano, qualche anno fa, a favore di un noto pubblico peccatore, oppure della Comunione data in una chiesa gremita a Bari ad un altro pubblico peccatore, oppure dei funerali officiati al cospetto del mondo a L’Aquila il Venerdì Santo, oppure dell’ultimo funerale in Cattedrale a Bologna, sempre di un pubblico peccatore, tutti attuati direttamente o indirettamente da cardinali di Santa Romana Chiesa; ai quali si è aggiunto ultimamente un altro “eminente cardinale” che ha voluto un pubblico peccatore nel consiglio pastorale di una parrocchia, forse per insegnare ai giovani cattolici un nuovo catechismo, fondato sull’elogio del peccato mortale.

Uno scandalo!? Ancora più grave… un disastro!

Uno scandalo e un disastro che sono la punta dell’iceberg della colossale crisi in cui da 45 anni si dibatte la Chiesa, a partire dal Vaticano II. Il dovere di stato dei Pastori che viene meno di fronte all’esigenza di non dispiacere al mondo, di far piacere al mondo. Il dovere dei Pastori di aiutare i fedeli a salvare la propria anima, che cede il posto all’esigenza di far piacere a certi fedeli che hanno deliberatamente e pubblicamente abbandonato la via della verità, con la conseguenza nefasta di confondere tutti quei fedeli che persistono sulla retta via e di insegnare loro che la Chiesa considera i pubblici peccatori allo stesso modo che i buoni padri di famiglia.

Ora, se questo è l’atteggiamento pubblico della gerarchia attuale, come si fa a rendere credibile, per esempio, la lotta alla pedofilia o la condanna delle unioni omosessuali con relativo corollario adozionista?
Se un omosessuale che vive pubblicamente more uxorio la sua scelta peccaminosa, viene ricevuto in pompa magna in chiesa, come si può poi sostenere che il matrimonio tra omosessuali è contrario alla fede?
Il fedele comune che ha visto officiare il funerale ad un omosessuale, con tanto di partecipazione all’ambone dell’altro soggetto, o che si ritrova come responsabile parrocchiale un omosessuale con tanto di certificato di matrimonio (laico) con un altro “uomo”, cosa penserà mai dell’insegnamento dei suoi Pastori, dal prete al Papa? 
Come finirà col considerare tutti gli altri insegnamenti che gli vengono dalla Chiesa?
Lungo quale strada e con quale esempio potrà sforzarsi di realizzare la sua santificazione in vista della vita eterna?

Quando i Pastori vengono meno al loro dovere di stato è perché sono scivolati lungo una china che allontana da Dio e porta all’abisso, e lungo questa china, come in una valanga, il movimento discendente trascina con sé tutto ciò che incontra. Nel caso in specie, il venir meno dei Pastori trascina nell’abisso un numero enorme di anime. Nulla, nemmeno il comportamento deviato dei Pastori potrà condizionare la misericordia di Dio, e se i fedeli vengono indotti in errore dal comportamento dei Pastori, il loro errore diventa personale e la misericordia di Dio non annulla le colpe personali. La misericordia di Dio perdona i peccati dei quali ci si pente, non i peccati che si commettono distrattamente perché indotti da altri… anche se questi altri sono ammantati dalla funzione pastorale, che credono possa loro valere da giustificazione… perché sta scritto: «se il giusto si allontana dalla sua giustizia e commette l'iniquità, io porrò un ostacolo davanti a lui ed egli morirà; poiché tu non l'avrai avvertito, morirà per il suo peccato e le opere giuste da lui compiute non saranno più ricordate;ma della morte di lui domanderò conto a te» (Ezechiele, 3, 20).

Si continua a sentire la domanda: dove andremo a finire?
Dio solo lo sa.
Ciò che sappiamo è che oggi più di ieri è indispensabile che noi si rimanga fermi agli insegnamenti di sempre della Chiesa Cattolica, respingendo ogni suggestione moderna, soprattutto se giunge dagli attuali uomini di Chiesa, e che ci si attenga al compimento del nostro dovere di stato, usando al meglio i talenti che il Signore ha voluto assegnarci.
Questo è quanto possiamo umanamente fare, questo è quanto dobbiamo fare. Al resto penserà la giustizia divina, col concorso delle nostre preghiere: per la nostra illuminazione personale e per il rinsavimento degli uomini di Chiesa in preda alle suggestioni del demonio.

I frutti della laicità buona: dalla distruzione della lingua alla distruzione della società










Di Giovanni Servodio

Lo spunto ci è dato da uno dei tanti pronunciamenti cosiddetti “normativi” emessi dai diversi organismi “giudicanti” europei. In questo caso si tratta della Cassazione italiana: coloro che contraggono un matrimonio omosessuale in uno dei paesi europei, devono veder riconosciuti anche in Italia i reciproci diritti così acquisiti.
Una grande novità? Nient’affatto. La semplice applicazione di una norma già in vigore. Dove sta allora la presunta novità, così ampiamente sottolineata dai mezzi di comunicazione di massa? Semplicemente nel fatto che l’oggetto del contendere è il cosiddetto “matrimonio omosessuale”.

Incominciamo quindi da qui.

Il termine “matrimonio” è derivato, in tutta evidenza, dal sostantivo “mater”, madre, e sta ad indicare il contesto nel quale trovano pieno riconoscimento le prerogative proprie della donna, della madre. In senso lato, il termine indica la condizione formale, lo stato sociale che permette al meglio l’esercizio di tali prerogative.
In definitiva, il matrimonio è sempre stato lo strumento che permette alla donna di realizzare in condizioni ottimali le sue prerogative esclusive di donna e di madre. Come dire che il matrimonio è lo strumento sociale ottimale che permette alla donna di compiere la sua funzione naturale e sociale di procreare, realizzando così al meglio il suo stesso essere.

Si continuano a fare mille distinguo circa la funzione reale del matrimonio, criticando, per esempio, l’antica concezione cattolica che dichiarava chiaramente che lo scopo principale del matrimonio è la procreazione. Concezione che finanche la Chiesa moderna si rifiuta di riprendere in toto.
Eppure, il termine è lì: semplice, chiaro, scontato: il matrimonio è la condizione sociale perché la donna faccia al meglio la madre; lo strumento che esalta la funzione della donna e le assicura ogni protezione e ogni riconoscimento.

Se poi, com’è accaduto, subentra una nuova concezione in base alla quale la funzione della donna sarebbe principalmente quella di fare l’uomo, è ovvio che il termine matrimonio va cambiato e, in attesa che se ne inventi un nuovo, si deve far sì che esso perda il suo significato.  
Mentre per millenni il matrimonio è stato una prerogativa della donna, direttamente legato alla sua funzione distintiva, unica ed essenziale, ecco che modernamente esso diventa uno strumento sociale che considera i due contraenti alla pari, come se l’uomo potesse procreare o la donna potesse inseminare. 

Una burla?
No, una sovversione!

Attraverso la quale, corrompendo il termine nel suo significato, si corrompe la funzione che esso esprime. Il matrimonio è distrutto, esso non serve più a sancire un quadro sociale e ordinato all’interno del quale si realizza il destino naturale della donna: la procreazione, la perpetuazione della specie, la continuazione del mondo, base imprescindibile per ogni tipo di organizzazione sociale umana. Esso diventa un luogo sociale ove i figli, la loro educazione, la loro crescita, lo stesso futuro dell’umanità sono solo un accessorio. E non rimanendo più che il mero rapporto tra una donna e un uomo, rapporto che può stabilirsi comunque indipendentemente dal matrimonio, ecco che questo non serve più a niente.
È curioso che questa deviazione che porta all’avvilimento del ruolo essenziale della donna si sia sviluppata parallelamente a quella che si è abusato chiamare “emancipazione femminile”. È curioso, ma ampiamente istruttivo, poiché il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi.

Se due donne o due uomini decidono, stranamente e innaturalmente, di convivere facendo finta di appartenere ai due sessi diversi, ecco che s’inventa la grande sciocchezza del reciproco amore, in grado, secondo la sovversiva concezione moderna, di giustificare qualsiasi cosa, soprattutto la più innaturale.
Da che mondo è mondo, gli uomini e le donne si sono sempre amati in mille modi diversi, ma in condizioni normali e ordinate non hanno mai neanche solo pensato di stabilire, a casaccio o a piacimento, dei rapporti innaturali.
L’amore di un uomo per un altro uomo, o di una donna per un’altra donna, si è sempre espresso in tanti modi diversi, dall’amicizia alla dedizione, fino al sacrificio, ma non per questo si deve stabilire tra loro un rapporto di convivenza esclusiva basato sull’innaturale connubio sessuale.
Da sempre, quando questo è accaduto, c’è stata la consapevolezza che si trattava di una deviazione, di un vizio, di un’anomalia, e in maniera seria e responsabile si faceva di tutto per vivere questa anomalia in maniera corrispondente.
Se una persona nasce storpia, la dignità personale e il senso di sé la portano a comportarsi di conseguenza, mai offrendosi alla considerazione del mondo come fosse normale, come “non” fosse storpia. Se lo facesse dimostrerebbe, stoltamente, di godere di questa anomalia, di avere sovvertito la sua percezione della realtà. Mai si era giunti allo stato di aberrazione moderna in base al quale è obbligatorio, per legge, considerare normale una anormalità.
Solo la concezione deviata dell’amore, nata negli ultimi tempi, può permettere di far passare l’idea che un connubio innaturale possa fondarsi sull’amore e per questo essere giustificato.

Un altro luogo comune ormai affermato pretende che il connubio innaturale tra due uomini o due donne si fondi sulla libertà personale.Così che una persona o due possano scegliere liberamente di vivere la vita sociale che più loro aggrada, soprattutto in termini di scelta sessuale.
Solo la dissociazione mentale moderna ha potuto permettere che un’assurdità simile prendesse piede e si affermasse anche a livello legislativo.
Ma dove s’è visto mai che una persona possa scegliere di essere e di vivere come meglio crede? In quale settore della vita sociale vige una tale impossibilità? In quale angolo del mondo? Se non nelle fantasie malate dei moderni che s’illudono che basti pensare una cosa e poi dirla ed ecco che essa diventa una realtà. 
L’unica realtà possibile, in questo modo, è una realtà malata, una fissazione patologica scambiata per realtà vera.

Eppure questa sciocchezza è diventata uno slogan sulla bocca di tanti.
Non ci si accorge che lungo una tale china s’incontreranno i più aberranti comportamenti desiderosi di essere riconosciuti come normali. Cosa che peraltro sta già accadendo, basta pensare all’infanticidio, oggi chiamato: interruzione volontaria della gravidanza.
Si dice che la libertà personale vada legittimamente tutelata fintanto che non leda la libertà altrui, ma nel caso dell’aborto, per esempio, l’uccisione dell’“altrui”, il bambino, diventa semplicemente insignificante di fronte alle scelte personali della donna, che in questo caso è davvero aberrante chiamare “madre”.D’altronde, e anche questo sta già accadendo nella modernissima, evoluta e laicissima nuova Europa, se un adulto induce un ragazzino ad un rapporto innaturale e osceno, viene accusato di pedofilia, tranne che il ragazzino non sia consenziente, cioè non eserciti anche lui la sua libertà, sia pure immatura e incosciente, divenuta matura e cosciente per legge.
Tutto questo non è esercizio del libero arbitrio, ma esercizio del libero abuso: abuso di se stessi e degli altri.

La libertà vera è quella che si esercita sotto l’ombrello delle leggi di Dio, è la libertà dei figli di Dio che in tanto sono liberi in quanto sottostanno alle leggi stabilite dal Creatore. Ogni altra libertà individuale al di fuori di quest’ultima si chiama semplicemente licenza, licenza rispetto alla vera natura umana e licenza rispetto all’ordine naturale stabilito da Dio per la conduzione ottimale dell’esistenza terrena. Si chiama autodistruzione, aberrazione, ed è funzionale solo al piano di sovversione e di capovolgimento del reale voluto e costantemente perseguito dal demonio per la rovina dell’uomo in terra in vista della sua perdizione in cielo.

Un altro luogo comune anch’esso affermatosi nei tempi moderni è quello della dignità della persona, che andrebbe preservata per il semplice fatto dell’esistenza della persona stessa. Tale che se una persona è abominevole, si deve fare in modo da condannare l’abominio, ma senza mai ledere la dignità di chi lo compie.
Una tale impossibilità è stata suggerita come possibile dalla perniciosa suggestione del demonio che in questo mondo moderno lavora quasi indisturbato. Il suo colpo da maestro consiste nell’aver adottato una nuova terminologia, così che anche l’assurdo potesse trovare legittimità agli occhi dell’uomo purché ribattezzato: “laicità”.
Laicità che si opporrebbe a confessionalità, perché è risaputo, dice il demonio, che la confessionalità è roba da bigotti limitati, mentre la laicità è roba da uomini liberi da ogni costrizione esteriore. L’uomo è l’uomo, indipendentemente da ogni riferimento che non sia se stesso: come dire che l’uomo è l’uomo indipendentemente dal fatto che l’abbia messo al mondo sua madre. L’uomo è l’uomo indipendentemente dal fatto che è creato da Dio. L’uomo è l’uomo indipendentemente dal fatto, del tutto insignificante, che non può farsi da sé.Tant’è vero che questo stesso uomo sradicato, e orgoglioso di questo sradicamento, si è inventata l’illusione della procreazione artificiale, per poter dire a se stesso che può farsi da sé, non solo senza l’intervento di Dio, ma perfino senza l’intervento di una “madre”: basta un laboratorio e una provetta.

Illusione generata dalla suggestione demoniaca, poiché qualunque “persona” sana di mente capisce che perfino l’espediente della scopiazzatura artificiale del processo procreativo naturale sarebbe nulla senza il persistere dell’azione di Dio che in questo caso si esercita per vie traverse, a conferma del vecchio detto che: Dio scrive diritto sulle righe storte.

Questi velocissimi richiami aiutano a tratteggiare la complessiva condizione moderna dell’uomo e dell’umanità, che è ormai prossima al disfacimento, tanto più definitivo e devastante per quanto più si ammanta di consolatorie denominazioni come quella corrente della “sana laicità”.
Una condizione che fino a qualche decennio fa trovava un qualche correttivo nell’insegnamento e nella predicazione della Chiesa, che ricordava come il misconoscimento della legge naturale e il rifiuto delle leggi di Dio e della sua Chiesa conducono l’uomo alla rovina in terra e alla perdizione in Cielo.

Fino a qualche decennio fa, perché…  negli ultimi decenni la Chiesa, ad opera dei moderni uomini di Chiesa, pur continuando a parlare di legge naturale e di leggi di Dio, ha fatto proprie e praticato le stesse suggestioni imperanti nel mondo: dalla deviante concezione dell’amore umano che tutto giustifica, all’elogio dell’indiscriminata libertà individuale, all’esaltazione della dignità dell’uomo in quanto uomo. Sottacendo la dipendenza della libertà dalla verità e dalla sottomissione alle leggi Dio, l’importanza della conquista della dignità in seguito al rigetto del peccato originale e dei suoi derivati, la primaria pratica dell’amore per Dio, il solo da cui discende l’amore per gli uomini.

Il tutto fondato, non su isolati ed episodici interventi di questo o di quel Pastore sconsiderato, ma su una pletora di documenti pastorali tutti derivati dagli insegnamenti dottrinali prodotti dal Concilio Vaticano II.

Gli uomini di Chiesa hanno perso la testa?

Non tanto! Si sono per lo più stancati: era troppo difficile continuare a resistere alle suggestioni e alle lusinghe del mondo e del Principe di questo mondo, mentre è tanto più facile, più comodo, più appagante in termini meramente umani, adattarsi a tali suggestioni e compiacersi di tali lusinghe, magari, come uomini di Chiesa, individuando giustificazioni e punti d’appoggio in seno all’immenso patrimonio sapienziale della Chiesa, il quale, nella sua espressione in termini umani, permette di cogliere qua e là ogni sorta di apparente coerenza: basta operare le opportune estrapolazioni.

Chiunque abbia letto i documenti del Concilio Vaticano II ha potuto rendersi conto di quanto questo fosse possibile e di come sia stato realizzato dagli estensori di tali documenti; prelati, certo, ma soprattutto esperti nella manipolazione linguistica, da quegli uomini moderni che erano… e sono.

Che il Signore abbia pietà delle loro e delle nostre anime, magari porgendo l’orecchio alle nostre preghiere perché si degni di salvare la Chiesa dalle conseguenze degli errori degli uomini di Chiesa.

Christe, áudi nos! Christe, exáudi nos!



giovedì 12 aprile 2012

Vade Retro: La crisi economia avvantaggia il mondo dell'occulto

"Vade Retro" risponde: padre Gabriele Amorth e Paolo Rodari

TV2000 "Vade Retro" - Don Marcello Stanzione parla degli Angeli e diavoli

Vade Retro: Io, infiltrato in una setta

" Vade Retro": il Diavolo - risponde, Fr. Raniero Cantalamessa ofmcap

VOGLIAMO COSTANZA MIRIANO COME PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA




VOGLIAMO COSTANZA MIRIANO COME PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Napolitano propone una donna per il Quirinale: c'è chi dice Emma Bonino... ma chi rappresenta Emma Bonino? Quasi nessuno la vota nonostante la grande visibilità sui media...
di Marco Mancini e Marco Piazza
Ancora Napolitano. L'inquilino del Quirinale, dopo aver propiziato in piena eteronomia nazionale la nascita del governo Monti, ha pensato finalmente a quando si ritirerà a vita privata (bontà sua...), non senza esprimere però un ultimo auspicio riguardo la successione (termine che non si usava forse durante il tenebroso feudalesimo?): sia la volta di una donna! Ne è sorto ovviamente un grande polverone mediatico, con improvvisati sondaggi on-line e la ricomparsa del nome di Emma Bonino, come già nel 1999, tra le favorite a salire sul Colle più alto, sostituendo l'ex-comunista Giorgio ma rimanendo in continuità con alcune sue preoccupanti posizioni in campo bioetico (leggasi vicenda Eluana Englaro). L'ineffabile Roberto Saviano non si è lasciato scappare l'opportunità di mettersi ancora una volta in pessima luce, rilanciando sul suo profilo FB la candidatura della storica leader radicale: anche lui, paladino dell'eutanasia con l'amico Fabio Fazio, non poteva non partecipare all'investitura della Nostra.
Il tutto ci lascia contrariati per due ordini di ragioni, di metodo e soprattutto di merito. In primo luogo, desta molte perplessità il fatto che il dibattito sulla figura che dovrebbe andare a ricoprire la prima carica dello Stato verta, almeno in queste prime battute, sul genere (e già parlare di genere è alquanto contrario a certa sana antropologia naturale, che individua due sessi, non n generi). Sul genere, dunque, e non sulla capacità dei candidati di essere realmente rappresentativi delle sensibilità più diffuse all'interno della società italiana, o di essere realmente garanti non solo degli equilibri costituzionali, ma anche dell'interesse nazionale. Ancora una volta non c'è progettualità politica, nessun confronto tra opzioni degne di essere considerate tali: c'è solo l'ideologia del politicamente corretto trasformata in luogo comune collettivo (il radicalismo di massa profetizzato dal compianto filosofo Del Noce), secondo il procedimento in cui eccellono i personaggi alla Luciana Littizzetto.
Questioni di metodo democratico (che valgono anche loro quel poco che valgono) a parte, la seconda obiezione è relativa al merito del personaggio considerato. Chi rappresenta Emma Bonino (voi vi chiederete anche chi rappresenta Giorgio Napolitano)? Non certo i cittadini italiani, a giudicare dalle pessime performance elettorali dei Radicali, per quanto i media si sforzino di pubblicizzare la sua immagine, garantendone una certa artefatta popolarità. Ma soprattutto, Emma Bonino è stata una delle più importanti sacerdotesse della "cultura (e religione) della morte" di cui aveva parlato per primo Giovanni Paolo II: divorzio, eutanasia, clonazione umana, omosessualismo, aborto. Non vogliamo dimenticare che fu Emma Bonino a fondare insieme alla famigerata Adele Faccio il CISA (Centro informazione sterilità aborto) e a praticare decine, centinaia, migliaia di aborti clandestini, con l'aiuto di una pompa da bicicletta. Che ora si voglia riproporre questa Liberatrice come l'(ennesimo) statista che la Provvidenza ci ha fatto incontrare per la salvezza mondana, è veramente troppo (comico). Non nobis Domine, non nobis! La Bonino al Quirinale non sarebbe altro che l'ennesimo vulnus inferto ad un Paese che a fatica si ostina a rappresentare l'"eccezione" nel mare del pensiero unico anti-umano vigente in buona parte dell'Occidente scristianizzato.
In ogni caso, se toto-Colle al femminile deve essere, partecipiamo anche noi. Costituzione permettendo, proponiamo il nome di una Donna Maiuscola, Madre feconda, Lavoratrice instancabile entro e oltre il focolare, Sposa felice e, dulcis in fundo, buona Cattolica: Costanza Miriano. Lei certamente rappresenterebbe molte donne (la maggioranza silenziosa), e personalmente rappresenta anche noi. La sua clonazione è l'unica posizione radicale che potremmo sostenere. Parta dunque la campagna elettorale: vogliamo Costanza Miriano al Quirinale!
 
Fonte: Campari e de Maistre, 28/03/2012

IL PROSSIMO LIBRO DI COSTANZA MIRIANO: ''VOI MARITI SIATE PRONTI A MORIRE PER LE VOSTRE MOGLI, COME CRISTO HA DATO LA VITA PER LA CHIESA''







IL PROSSIMO LIBRO DI COSTANZA MIRIANO: ''VOI MARITI SIATE PRONTI A MORIRE PER LE VOSTRE MOGLI, COME CRISTO HA DATO LA VITA PER LA CHIESA''
La donna tende al controllo, l'uomo all'egoismo: e allora bisogna ricordare all'uomo qual è la sua chiamata, quella all'eroismo
di Isabel Molina
Questa intervista a Costanza pubblicata sul settimanale spagnolo Misiòn (una sorta di Famiglia Cristiana ispanica)  e ripubblicato anche online  sul sito Religiòn en Libertad, ha avuto per  giorni  il più alto  numero di letture e di commenti (con discussioni anche piuttosto animate). Abbiamo pensato di proporvelo in italiano.
CHE COSA TI HA ISPIRATO QUESTO LIBRO?
In realtà il libro è nato un po' per caso. Stavo trascorrendo ore e ore al telefono per convincere una mia amica a sposarsi. E' capitato che ne parlassi con un collega. Gli ho spiegato che secondo me spesso era il fidanzato ad avere ragione, che le pretese della mia amica erano irragionevoli, che vedevo per loro una felicità che non si decidevano a cogliere per una serie di idee strampalate, quelle che abbiamo un po' tutti sull'amore e sul matrimonio. Ricordavo anche spesso alla mia amica che è importante che una donna sia accogliente, dolce, capace di mediare, di mettere in relazione, di unire più che di dividere. Queste tesi sono piaciute molto al mio amico, che mi ha messa in contatto con la casa editrice. Avevo dunque trovato un editore prima ancora di avere scritto un solo capitolo, e così mi è sembrato che fosse chiaramente un disegno della Provvidenza che io scrivessi questo libro. Vedo intorno a me tanta infelicità, e molta di essa è evitabile. C'è un'idea assurda del matrimonio in giro, soprattutto adesso che le donne, nella loro in certi casi giusta battaglia di emancipazione, hanno perso anche un po' della loro identità profonda, del loro "genio femminile", come lo chiamava Wojtyla nella Mulieris dignitatem.
COSA PENSA TUO MARITO DI QUELLO CHE HAI SCRITTO?
Pensa: "Oh, come sarebbe bello se tu fossi davvero così!" No, scherzo... Lui è stato il mio primo lettore, il più severo quanto allo stile (spesso mi aiuta ad essere più efficace, a trovare le parole giuste), ma il più entusiasta quanto ai contenuti. Mi ha incoraggiata, e continua a farlo, vuole che scriva ancora. Inoltre si occupa lui del mio blog, che ha già avuto oltre 700mila contatti, ed è stato invitato anche al Vatican Meeting per i bloggers.
SOTTOMISSIONE È UNA PAROLA UN PO' SCIOCCANTE PER LE DONNE DI OGGI... PERCHÉ SUGGERISCI ALLE DONNE DI SOTTOMETTERSI? CHE INTENDI ESATTAMENTE?
Non sono mica io a scegliere questa parola! E' san Paolo, nella lettera agli Efesini. La parola sembra offensiva, a noi donne di oggi, perché non sappiamo uscire dalla logica del dominio e della sopraffazione, che spesso vige in molte coppie. Ma in una logica di servizio reciproco, sottomissione indica solo lo specifico tipo di servizio al quale è chiamata la donna. Mentre l'uomo, chiamato anche lui a servire, in modo diverso, deve essere "pronto a morire per la sposa come Cristo per la Chiesa". Dunque non è che all'uomo vada molto meglio... San Paolo ce lo ricorda perché noi donne tendenzialmente vorremmo controllare tutto, mettere sempre la nostra impronta, dire l'ultima parola, manovrare le persone, magari non direttamente o apertamente, ma da dietro, in modo non scoperto. Invece essere sottomesse significa letteralmente stare sotto, cioè sostenere tutti i membri della famiglia, sorreggere, accompagnare i più deboli. Questa è una qualità peculiarmente femminile, e nessuna rivoluzione femminista potrà mai farci dimenticare che questo è il nostro vero talento. Potremo lavorare e avere sempre maggiori successi, ma la cosa che sappiamo fare meglio, e quella che davvero risponde ai nostri più profondi desideri del nostro cuore, è mettere noi e gli altri in relazione. L'amore della donna è più oblativo, quello dell'uomo più deciso e portato ad "uscire fuori" mentre la donna accoglie (il rapporto fisico è figura di quello spirituale). Uomini e donne di oggi devono riappropriarsi del loro specifico talento, complementare l'uno all'altro.
IN POCHE PAROLE, CHE SIGNIFICA ESSERE UNA BUONA MOGLIE?
Wow, che domanda difficile! E in poche parole, poi... Be' credo che una parte della risposta cambi per ogni coppia, io dovrei per esempio smettere di dare pareri non richiesti su argomenti che non conosco, è la mia specialità. In generale penso che una sposa debba essere accogliente, dolce, paziente. Deve partire da un pregiudizio positivo sul proprio marito, e quindi accogliere come buono per principio tutto quello che viene da lui. Il nostro modello deve essere la Madonna della medaglia miracolosa, con le mani e le braccia aperte per accogliere quello che viene, e sotto il piede il serpente, che è la nostra lingua, sempre pronta a criticare, a trovare quello che non va, a sottolineare quello che manca. Una buona moglie poi cerca di rimandare il momento del confronto: non discute quando vede qualcosa che non va, ma lascia decantare le emozioni, schiarirsi la vista dell'intelletto, e trovare, se una critica è da fare, il momento più giusto, quello dell'intimità. Mai e poi mai, infine, contraddice il padre davanti ai figli.
QUALE SAREBBE IL PRIMO CONSIGLIO CHE DARESTI A UNA GIOVANE DONNA CHE SOGNI UN MATRIMONIO PIÙ APPAGANTE E SODDISFACENTE?
Le donne giovani vanno più spesso incontro a delusioni, perché a differenza che nel passato oggi abbiamo pretese altissime nei confronti del matrimonio. Nel passato serviva a trovare una sistemazione, oggi dal matrimonio vogliamo la felicità, ed è giusto e bello che sia così. Solo che bisogna accettare i limiti nostri e dell'altro, sapere che ci deluderemo in alcune cose, ci faremo arrabbiare in altre, e poi, è chiaro, ci stupiremo in altre ancora. L'amore non è un sentimento, è una decisione. Aderiamo liberamente e con tutta la nostra volontà alla scelta di una persona sola, per tutta la vita. Allora sappiamo che il sentiero sarà tortuoso, ci saranno delle salite, e dei momenti in cui la strada sembrerà tutta dritta e apparentemente noiosa. Ma bisogna allenare gli occhi a vedere le meraviglie nascoste nel quotidiano, a scoprire che dopo una salita si apre una vallata di una bellezza inimmaginabile, che chi passa da una storia all'altra, chi non ha il coraggio di fare la salita, non si sogna neanche.
TI SUCCEDE A VOLTE DI ARRABBIARTI CON TUO MARITO? E SE SUCCEDE, COME VI RICONCILIATE?
Certo che succede! Anche se non spesso, perché io sono piuttosto paziente, e difficilmente mi arrabbio proprio. In più mio marito è davvero buono. Ma se non sono d'accordo, come ho detto, cerco di rimandare il momento di dirgli perché non la penso come lui. Faccio sbollire l'arrabbiatura, mi chiarisco le idee, e il più delle volte mi accorgo che aveva ragione lui. Inoltre ho i miei piccoli sfoghi: prima di tutto c'è la preghiera, il rosario. Poi c'è la corsa, la mia grande passione (sono una maratoneta): dopo una bella sudata non mi ricordo neanche perché ero preoccupata. Infine ci sono le amiche: con loro posso lamentarmi, sfogarmi, essere lagnosa, querula, noiosa, insopportabile. Un uomo se gli poni un problema cerca di risolverlo, invece un'amica dice esattamente quello che vuoi sentirti dire: che sei una donna meravigliosa e che davvero reggi il mondo intero sulle spalle. Che lo fai magnificamente, e che fra l'altro quel nuovo taglio ti dona moltissimo, e forse sei anche un po' dimagrita.
QUAL È LA SFIDA PRINCIPALE CHE IL MATRIMONIO RAPPRESENTA PER LE COPPIE, OGGI?
Tutta la società spinge in moltissimi modi contro la famiglia. Dio è scomparso dall'orizzonte, e senza Dio, che con la forza del sacramento e con la grazia rinnovata ogni volta che glielo chiediamo nella preghiera, è impossibile pensare a qualcosa che sia per sempre, in questa società liquida e relativista. Prima le tradizioni e le convenzioni, le consuetudini forse costringevano anche le persone, ma le tenevano salde. L'idea di essere infedeli, di seguire istinti, emozioni, di essere liberi da vincoli è fortissima: è diffusa, la si respira nell'aria. Inoltre non ci sono aiuti per le famiglie numerose, di nessun tipo, né facilitazioni per conciliare famiglia e lavoro, o magari permettere alle mamme di stare a casa, con congrui contributi economici. Tutto congiura contro la famiglia, e solo la Chiesa davvero ci difende, fa una battaglia culturale per noi. Altrimenti l'idea che passa è che le famiglie felici sono solo quelle allargate, magari con omosessuali, risposati, separati, figli di altri letti. Quelle cosiddette libere, mentre la vera libertà è solo quella che dà la Verità, cioè Gesù Cristo.
CHE IMPATTO STAI AVENDO SULLE DONNE CATTOLICHE ITALIANE? PENSI DI AVERLE INDOTTE A GUARDARE IL MATRIMONIO IN MODO DIVERSO?
Mamma mia, che impressione!! Non so se davvero sto cambiando così tanto le cose, ma se devo dire la verità ho ricevuto tantissime lettere di donne che mi hanno detto che le ho aiutate a modificare il loro modo di vivere il matrimonio. Molte, anche tra quelle che ho incontrato alle presentazioni in giro per tutta Italia (ho ricevuto centinaia di inviti, ma non posso dire sempre sì), mi hanno detto che grazie al mio libro hanno imparato a volere più bene al loro marito. Alcune hanno deciso di sposarsi, altre hanno recuperato una storia che era in crisi. E anche molte donne cattoliche impegnate, ben formate da anni di incontri di formazione spirituale, mi hanno detto che certe cose non si dicono più neanche in ambiti religiosi, mentre la mia visione, cioè quella di san Paolo, è davvero quella che risponde più profondamente al loro cuore.
STAI PREPARANDO UN ALTRO LIBRO?
Sì, sto cercando di analizzare il seguito della frase di san Paolo, nella lettera agli Efesini: e voi mariti siate pronti a morire per le vostre mogli, come Cristo è morto per la Chiesa. Se la donna tende al controllo l'uomo tende all'egoismo, e allora bisogna ricordargli qual è la sia chiamata, quella all'eroismo. Quindi il prossimo libro è per lui.
LA PREGHIERA È IMPORTANTE PER LA VITA MATRIMONIALE?
Certo, la preghiera è importantissima per tutti. Prima di parlare bisogna pensare, ma prima di pensare bisogna pregare. La preghiera pulisce gli occhi e fa vedere tutto più chiaro. Scioglie i nodi e appiana le incomprensioni. Porta la pace prima di tutto nel nostro cuore e ci permette di diffonderla.
QUALI SONO I TRE LIBRI CHE HA AMATO DI PIÙ?
A parte la Bibbia, dice? Beh, la Divina Commedia, innanzitutto, che ricorda all'uomo quale ampiezza deve avere il suo respiro, proiettato verso l'eternità. La mia santa preferita è la vostra Teresa d'Avila, e le sue opere sono meravigliose, ma anche Edith Stein, Teresa Benedetta della Croce, ha scritto parole meravigliose sulla donna. Poi c'è un libro poco noto, forse, che si chiama Il mistero della donna, di Jo Croissant, che invita le donne al sacerdozio del cuore, a offrire in sacrificio quella sete d'amore che tutte ci arde, e che non è mai saziata.
COME TRASMETTE IL SUO MESSAGGIO AI FIGLI?
Poche parole e molta pratica: i bambini ascoltano con gli occhi. Vedono il rispetto reciproco, il sacrificio, la donazione generosa di babbo e mamma, che li seguono e li amano con modalità diversissime ma complementari.
Fonte: www.costanzamiriano.wordpress.com, 22/03/2012

mercoledì 11 aprile 2012

Sogni e miracoli



DI AUTORI VARI
di Gerardo Ferrara    lacapannadellozioblog
Rimango sempre colpito nel pensare alla millenaria attesa messianica del popolo ebraico, alle preghiere instancabili e a quel senso di appartenenza, di comunità che lo caratterizza. Sia nei brani dell’Antico Testamento che in quelli del Nuovo, nelle preghiere come nelle benedizioni, è facilissimo riscontrare un anelito continuo, quasi una fissazione, per la liberazione dalla schiavitù e dall’oppressione, per l’amore verso Gerusalemme e la Terra Promessa, per il ritorno a Dio e alla patria perduta. In tutto questo, vedo sempre una costante: i sogni, i desideri e le preghiere sono quasi sempre collettivi, per il popolo, per “noi” .
Rispetto agli ebrei, noi cristiani, che celebriamo in questi giorni la Settimana santa e commemoriamo la Pasqua di Gesù Cristo, Dio incarnato, divenuto il cuore della nostra fede al posto della Legge e di Gerusalemme, abbiamo forse perso un po’ l’abitudine di pregare per il nostro popolo, la Chiesa, di desiderare qualcosa che sia “nostro” e non solo “mio”. Eppure, quanta forza e quanta vita acquista un sogno se questo coinvolge anche le persone che amiamo, non solo noi.
Ultimamente, si è risvegliata in me una strana voglia di sognare che credevo fosse tipica dell’adolescenza. La differenza, rispetto ad allora, è che i miei desideri, a volte impossibili, altre ancora delle vere e proprie utopie che avrebbero bisogno di un miracolo per realizzarsi, mi sembrano molto più concreti, belli, reali, utili, puri perché alimentati da qualcosa che li rende potenzialmente veri: essi non sono solo i miei. E’ strano a dirsi, ma il sostegno, la preghiera, la partecipazione delle persone che mi sono vicine può trasformare un sogno in realtà ed il modo in cui il sogno nasce, si definisce, si sviluppa e, magari, si realizza è ancora più bello di un miracolo, perché condiviso, perché arricchito dal continuo apporto di idee, contributi, opinioni, spunti creativi, nuovi punti di vista che aiutano a conoscere meglio me stesso, ciò che voglio, ciò di cui ho bisogno e quello che posso fare.
Dalla mia meta, dalla mia terra promessa, dal mio sogno mi separa il Mar Rosso e mi trovo ancora nel bel mezzo del deserto, ma non sono solo, c’è il mio popolo, i miei amici: siamo tutti uniti nel camminare nella stessa direzione, verso il medesimo obiettivo ed è, forse, più bello per noi costruire insieme una diga che contenga le acque e ci permetta di attraversare il mare piuttosto che aspettare un fuoco dal cielo che venga ad aprirle miracolosamente e ci consenta il passaggio. Intendiamoci, l’aiuto di Dio è necessario, richiesto, gradito, di per sé miracoloso, ma essere suoi collaboratori, anziché marionette che attendono di essere collocate in un punto o in un altro, è decisamente più affascinante.
Per me, la Pasqua di quest’anno è segno non solo del passaggio dalla morte alla vita, dalla schiavitù del peccato alla vita eterna, dal dolore alla risurrezione. Essa mi ricorda che, se Qualcuno è morto da solo per me, è perché io avessi la vita e la vivessi con e per il mio prossimo, i miei amici, per cui sono chiamato anch’io a dare la vita e che sono chiamati, a loro volta, a dare la vita per me. Che cosa significa questo? Morire, essere crocifissi? Non necessariamente. Amare, dare la vita in questo caso significa, altresì, rendere l’esistenza di una persona degna di essere vissuta, alimentare i suoi sogni, quelli buoni, veri e utili, partecipare alle sue gioie (non soltanto alle sofferenze), darle speranza, godere del dono di noi stessi a quella persona e di quella persona a noi stessi, essere felici insieme facendo qualcosa di bello.
Questa Pasqua rappresenta, dal mio punto di vista, la (ri)scoperta di quanto io e i miei amici, familiari, fratelli e sorelle siamo un corpo e un’anima sola: se non posso contare sulle mie gambe per attraversare il deserto, so che quel mio amico, più forte e atletico di me, mi darà una mano; se mi sento solo, posso contare su un’altra amica, dolce e materna, che sa sempre come prendermi; se, nell’attraversare il Mar Rosso, avrò paura, sono certo che sarò circondato da persone che mi incoraggeranno ad andare avanti e saranno pronte persino a prendermi in braccio, quando non ce la farò; se sarò triste, ci sarà chi saprà farmi ridere; se sarò malato, avrò chi mi curerà; se sarò nudo, qualcuno mi vestirà e, se avrò fame, mi daranno da mangiare. Mi sono stati donati mille occhi, di tutti i colori, e senza bisogno di lenti a contatto; braccia femminili, maschili, forti e virili, abili e sensibili; ho tante voci che raggiungono tutte le tonalità; infinite possibilità e capacità, nell’arte, nella musica, nella vita, tante quante sono le persone che mi sono accanto. Io sono loro e loro sono me.
Del libro della mia vita, posso dire di essere lo scrittore, ma i volti dei miei cari sono le parole su ogni pagina, i paesaggi, le sensazioni, le emozioni. Per questa ragione, posso affermare che la parola che accompagnerà le festività pasquali sarà per me “comunione”: un solo corpo, un solo spirito, una vita da condividere.

La fortuna dei redenti


http://costanzamiriano.wordpress.com

DI AUTORI VARI
di Giacomo Biffi 
Gesù di Nazaret, nato a Betlemme duemila anni fa, morto crocifisso e dissanguato sull’altura del Golgota, è risorto e oggi è vivo: veramente, realmente, corporalmente vivo.
Un gruppo di donne ansiose e spaventate, un gruppo di uomini increduli e senza speranza, sono progressivamente arrivati a questa certezza, incalzati da una serie di esperienze inconfutabili: prima il sepolcro aperto e vuoto, segno che alla morte la sua più ambita preda era stata ritolta; poi l’annunzio dell’angelo, messaggero splendente del cielo (“è risorto, non è qui”); infine l’incontro aperto con lo stesso Maestro amato, ritornato alla vita.
I medesimi occhi che l’avevano contemplato agonizzante sul patibolo, adesso lo vedono eloquente e palpitante nel fulgore di un’esistenza nuova. Le medesime mani che avevano composto nella tomba le sue membra inerti, adesso lo toccano e lo stringono vivo e concreto, tanto che possono mettere il dito nelle sue mani piagate e la mano nella ferita del suo costato (cf Gv 20,27).
Questa fede dei primi discepoli ha raggiunto tutte le regioni della terra, ha attraversato i secoli ed è arrivata a noi. E noi stanotte, qui come in tutte le chiese del mondo, ancora una volta l’abbiamo proclamata; e ci siamo lasciati avvolgere dalla sua luce e permeare dalla sua gioia.
“Sarete miei testimoni fino agli estremi confini della terra” (cf At 1,8), aveva detto agli Apostoli. Essi hanno obbedito, anche a prezzo del loro sangue. La loro parola è giunta fino a noi, e così anche noi abbiamo avuto la fortuna di celebrare la Pasqua del Signore.
Il germe della verità salvifica e della vita risorta è penetrato nel nostro essere mediante il battesimo. Rinascendo dall’acqua e dallo Spirito Santo, secondo la parola di Gesù (cf Gv 3,5) diventiamo “figli della luce” (cf Gv 12,36) e “figli della risurrezione” (Lc 20,36), e tutta la realtà ai nostri occhi si trasfigura: i giorni dell’uomo, che sembrano così spesso vani e insignificanti, acquistano uno scopo e una mèta; il dolore si apre a una speranza; la solitudine ha una compagnia, il peccato ha un perdono; la morte diventa l’ingresso a un’esistenza più vera.
* * *
“Sarete miei testimoni”: adesso gli “apostoli” siamo noi, tocca a noi portare ai nostri contemporanei la “buona notizia” della vittoria pasquale. Domandiamo allora, in questa “santissima notte”, la grazia di saper rendere la nostra apostolica testimonianza con le parole e con la vita.
Dobbiamo testimoniare che la vita ha uno scopo. In una società che amplifica ed esalta i mezzi e gli agi, mentre ignora e censura le ultime finalità e le ragioni, i credenti nella risurrezione mostrino e dimostrino senza pavidità che non nell’egoismo individualistico, non nel permissivismo senza regole, non nelle varie evasioni deliranti va ricercata la strada per arrivare alla felicità, ma nella perenne novità della rivoluzione cristiana. Solo il Signore risorto può ridare senso e bellezza ai giorni dell’uomo.
Dobbiamo testimoniare che il dolore ha una luce di speranza. Chi si rifiuta di collegarlo col mistero della sofferenza e della gloria di Cristo, non lo elimina e non lo riduce; soltanto lo rende un’assurdità atroce che non può essere sopportata. Al chiarore dell’evento pasquale invece la sofferenza umana si sublima e si rivela nella sua autentica natura di prova, di purificazione, di redenzione, di premessa alla gioia che non vien meno.
Dobbiamo testimoniare che la solitudine umana ha una compagnia, perché Cristo risorto è davvero vicino a ciascuno di noi. Mai come oggi l’uomo si sente così spesso derelitto ed estraniato, nel suo ambiente di lavoro, nella sua città, perfino nella sua famiglia. Mai come oggi avverte la necessità pungente di qualcuno che lo ascolti, che lo conforti, che l’aiuti. Ogni comunità cristiana è interpellata da questo isolamento multiforme, che domanda il soccorso della sua attenzione e del suo amore fraterno così che appaia meno astratta e lontana la promessa di colui che ha detto: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).
Dobbiamo testimoniare che non c’è peccato che non possa avere perdono. Non c’è vita sbagliata, non c’è abitudine cattiva, non c’è sgomento di rimorso, che non trovi in Cristo riparazione e ripresa. Il Figlio di Dio è morto per noi, per liberarci da ogni possibile male; ed è risorto perché ogni esistenza, per quanto contaminata e deteriorata, rinasca in una riconquistata purezza e ritrovi la sua vocazione all’autentica gioia.
Dobbiamo testimoniare che la morte diventa, in Cristo risorto, il transito sereno dalle tristezze della terra al lieto splendore del Regno di Dio. Non è più la catastrofe che annienta e vanifica tutto; non è più il salto nel baratro orrendo del nulla; non è più la sconfitta dell’uomo, definitiva e senza rivincita. E’ anzi la nostra piena realizzazione, è il passaggio al mondo eterno, dove tutto si invera, dove ogni nostro anelito si placa, dove si ricostituisce la comunione gratificante con coloro che abbiamo amato e che ci hanno amato.
* * *
“Sarete miei testimoni”.
Grande, come si vede, è la fortuna dei redenti e rinnovati dalla Pasqua del Signore, grande è la fortuna del popolo dei battezzati.
Ma grande è anche il compito che essi ricevono dal Risorto, alta e impegnativa la loro missione. Colui che ce l’affida, proprio perché possiamo rendergli una buona testimonianza non manca mai di effondere su di noi – dalla destra del Padre dove regna glorioso – il vigore, la consolazione, il coraggio del suo Spirito di verità.
OMELIA NELLA SANTA MESSA DELLA NOTTE NELLA SOLENNE VEGLIA PASQUALE
Sabato 22 aprile2000 – ore 22,30 – Cattedrale San Pietro