di Juan José
Silvestre*
Nel Catechismo della Chiesa
Cattolica (CCC), dopo la professione di fede, sviluppata nella prima parte, si
passa alla spiegazione della vita sacramentale, nella quale Cristo è presente,
attua e continua l'edificazione della sua Chiesa.
Infatti, se nella liturgia non emergesse la figura di
Cristo, che è il suo principio ed è realmente presente per renderla valida, non
avremmo più la liturgia cristiana, completamente dipendente dal Signore e
sostenuta dalla sua presenza.
Quindi, esiste un rapporto
intrinseco tra fede e liturgia, entrambe sono intimamente unite. In realtà,
senza la liturgia e i Sacramenti la professione di fede non avrebbe efficacia,
perché mancherebbe della Grazia che sostiene la testimonianza dei cristiani.
E «dall'altra parte, l'azione liturgica non
può mai essere considerata genericamente, a prescindere dal mistero della fede.
La sorgente della nostra fede e della liturgia eucaristica, infatti, è il
medesimo evento: il dono che Cristo ha fatto di se stesso nel Mistero
pasquale» (Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis, 34).
Se apriamo il Catechismo nella sua
seconda parte, si legge che la parola “liturgia” significa originariamente «servizio da parte del popolo e in favore
del popolo». Nella tradizione cristiana vuole significare che il Popolo di
Dio partecipa all'«opera di Dio»
(CCC, 1069).
In che cosa consiste questa opera
di Dio alla quale noi partecipiamo? La risposta del Catechismo è chiara e ci
permette di scoprire l'intima connessione esistente tra fede e liturgia: «Nel Simbolo della fede, la Chiesa confessa il mistero
della Santa Trinità e “il mistero della sua volontà, secondo [...] la sua
benevolenza” (Ef 1,9) su tutta la creazione: il Padre compie il “mistero della
sua volontà” donando il suo Figlio diletto e il suo Santo Spirito per la
salvezza del mondo e per la gloria del suo Nome» (CCC,
1066).
Infatti, «quest’opera della redenzione umana e della
perfetta glorificazione di Dio, che ha il suo preludio nelle mirabili gesta
divine operate nel popolo dell’Antico Testamento, è stata compiuta da Cristo
Signore, specialmente per mezzo del mistero pasquale della sua beata passione,
risurrezione da morte e gloriosa ascensione» (CCC, 1067).
È questo il mistero di Cristo che la Chiesa «annunzia e celebra nella sua liturgia,
affinché i fedeli ne vivano e ne rendano testimonianza nel
mondo» (CCC,
1068).
Per mezzo della liturgia «si effettua l'opera della nostra
redenzione» (Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Concilium, 2). Pertanto,
come fu inviato dal Padre, Cristo ha inviato gli Apostoli a predicare la
redenzione e ad «attuare l'opera di
salvezza che annunziavano, mediante il Sacrificio e i Sacramenti attorno ai
quali gravita tutta la vita liturgica» (ibid., 6 ).
Così vediamo che il Catechismo
sintetizza l'opera di Cristo nel mistero pasquale, che è il suo nucleo
essenziale. E il nesso con la liturgia è ovvio, poiché «attraverso la liturgia Cristo ,
nostro Redentore e Sommo Sacerdote, continua nella sua Chiesa, con essa e per
mezzo di essa, l’opera della nostra redenzione» (CCC, 1069).
Quindi, questa «opera di Gesù Cristo», perfetta
glorificazione di Dio e santificazione degli uomini, è il vero contenuto della
liturgia.
Questo è un punto importante
perché, sebbene l'espressione e il contenuto teologico-liturgico del Mistero
pasquale dovrebbero ispirare lo studio teologico e la celebrazione liturgica,
non è sempre stato così.
Infatti, «la
maggior parte dei problemi collegati all'applicazione concreta della riforma
liturgica ha a che fare con il fatto che non è stato tenuto sufficientemente
presente il peso dato dal Concilio Vaticano II alla Pasqua […]. Pasqua significa
inseparabilità della Croce e della Risurrezione [...]. La Croce sta al centro della
liturgia cristiana, con tutta la sua serietà: un ottimismo banale che nega la
sofferenza e l'ingiustizia nel mondo e riduce l'essere cristiani all'essere
cortesi non ha nulla a che fare con la liturgia della croce. La redenzione è
costata a Dio la sofferenza di suo Figlio, la sua morte, e l’“exercitium” della
redenzione, che, secondo il testo concilare, è la liturgia, non può avvenire
senza le purificazioni e le maturazioni che vengono dalla sequela della
croce» (J. Ratzinger / Benedetto XVI, Teologia della liturgia, LEV,
Città del Vaticano 2010, pp. 775-776).
Questo linguaggio si scontra con
quella mentalità incapace di accettare la possibilità di un reale intervento
divino in questo mondo, in soccorso dell'uomo. Quindi, «la confessione di un intervento redentore
di Dio per cambiare questa situazione di alienazione e di peccato è vista da
quanti condividono la visione deista come integralista, e lo stesso giudizio è
dato a proposito di un segnale sacramentale che rende presente il Sacrificio
redentore. Più accettabile, ai loro occhi, sarebbe la celebrazione di un segnale
che corrispondesse a un vago sentimento di comunità. Il culto però non può
nascere dalla nostra fantasia; sarebbe un grido nell'oscurità o una semplice
autoaffermazione. La vera liturgia presuppone che Dio risponda e ci mostri come
possiamo adorarlo. “La
Chiesa può celebrare e adorare il mistero di Cristo presente
nell'Eucaristia proprio perché Cristo stesso si è donato per primo ad essa nel
Sacrificio della Croce” (Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis, 14).
La Chiesa vive
di questa presenza e ha come ragion d'essere e di esistere quella di diffondere
tale presenza nel mondo intero» (Benedetto XVI, Discorso del
15.04.2010).
Questa è la meraviglia della liturgia che, come ricorda
il Catechismo, è culto divino, annuncio del Vangelo e carità in azione (cf. CCC,
1070). È Dio stesso che agisce e noi siamo attratti da questa sua azione, per
essere trasformati in Lui.
* Juan José Silvestre è professore di Liturgia presso
la Pontificia
Università della Santa Croce e consultore della Congregazione
per il Culto Divino e la
Disciplina dei Sacramenti e dell'Ufficio delle Celebrazioni
Liturgiche del Sommo Pontefice

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